martedì 29 aprile 2008

'La lana della Salamandra'

Nella seconda metà degli anni ’70 l’utilizzo dell’amianto si è fatto più “consapevole” ma i decessi per mesoteliomi alla pleura non stanno diminuendo. Giampiero Rossi autorevole firma de l’Unità, nel corso di questi anni ha svolto un costante lavoro di ricerca e approfondimento sul dramma che continua ad accompagnare le famiglie delle 2.969 persone vittime dell’amianto sparse nei quattro siti industriali Eternit presenti in Italia: Cavagnolo in provincia di Torino(142), Casale Monferrato in provincia di Alessandria (2.272), Rubiera in provincia di Reggio Emilia (55) e Bagnoli in provincia di Napoli (500).
Si tratta di un procedimento penale contro la proprietà di Eternit nelle persone di Stephan Schmidheiny e del barone belga Cartier de Marchienne per disastro doloso ambientale. La “Lana della salamandra”pubblicato dall’Inca Cgil, in edicola da domani lunedì 28 aprile con l’Unità, ha dato voce alle parole e alle vite spezzate da quella tremenda ed eterna polvere bianca prodotta dall’amianto. “Era l’11 novembre del 1974 quando Nicola Pondrano un giovane di Vercelli venne assunto all’Eternit. Un’assunzione in quell’ azienda era considerata da sempre una fortuna da quelle parti. Per questo lui aveva accettato di buon grado di trasferirsi da Vercelli, venticinque chilometri più in là tra le risaie per affrontare una vita che ora ruotava attorno a due turni, albe e notti comprese. Entrare in quella fabbrica significava avere un salario garantito. Altro che morire: quella era un’assicurazione sulla vita, gli avevano sempre detto, la garanzia di arrivare un giorno a godersi la vecchiaia con una bella pensione e, magari, persino una casetta tutta sua comprata poco alla volta. (…)”. Così scrive Giampiero Rossi nel secondo capitolo del suo libro iniziato, racconta l’autore, “dopo una prima inchiesta a puntate iniziata nel 2003. Ma solo nel 2006, dopo aver vinto la resistenza del mio capo, sono riuscito a partecipare ad un’assemblea indetta alla Camera del Lavoro di Casale Monferrato. Solamente entrando in quelle stanze e incontrando quelle persone mi accorsi che quella località piemontese sconosciuta ai più, si stava, da anni, lavorando alla ricostruzione di una drammatica storia di vita quotidiana di cui nessuno sapeva nulla. Conobbi Bruno Pesce e lo stesso Nicola Pondrano; oggi entrambi pensionati ma da sempre in prima linea in questa vicenda che rappresenta un insulto e un’offesa ad un’intera comunità che continua a contare le sue vittime”. Sarà anche per questo che Casale Monferrato è divenuto il riferimento mondiale nelle vicende legate all’ amianto. Lo testimoniano le lettere di avvocati, sindacalisti e familiari delle vittime che scrivono a Pesce e a Pondrano.“ Numerose associazioni e avvocati si offrono di collaborare con i volontari di Casale Monferrato che proseguono il loro eroico lavoro di raccolta delle testimonianze oltre a battersi per sostenere e assistere i malati e le famiglie delle vittime. Già perché la fabbrica-mostro oggi giace sotto una spessa coltre di cemento ma fino a che non sarà iniziata l’opera di bonifica nessuno può dirsi al sicuro”. Sarà anche per questo che in molti si stanno mobilitando per organizzare “Il giorno mondiale della collera” previsto proprio nella giornata delle riapertura del processo. Ne “La lana della Salamandra” Giampiero Rossi ha raccontato della fabbrica, delle organizzazioni sorte spontaneamente per aiutare le vittime ma nelle quali si è lavorato anche alla “collettivizzazione del dolore”. Rossi ha scritto del processo e del “futuro” di Casale. Ma la parte che sicuramente ha lasciato più il segno nello stesso autore è raccolta nel primo capitolo nel quale viene narrata la vicenda di Romana Blasotti Pavesi e dei suoi 5 familiari morti per amianto. “La storia della signora, oggi presidente del comitato vertenza amianto di Casale Monferrato, è davvero un pugno allo stomaco. Romana ha perso il marito, la figlia, la sorella, un nipote (figlio della sorella) e una cugina. E’ il simbolo delle tante famiglie che hanno portato il dolore dei lutti, a chi ha perso la vita lavorando e a quanti sono malati di tumore pur non avendo mai lavorato alle dipendenze della Eternit e nonostante tutto continuano a lavorare”. Sono le vicende di vita dell’intera comunità di Casale Monferrato che, suo malgrado ancora oggi deve fare i conti con le morti da mesotelioma pleurico. Ogni anno, in media, 45 persone perdono la vita e le prospettive epidemiologiche attestano che il fenomeno durerà fino al 2015/2020. Eppure, sempre nel secondo capitolo si legge: “quando nel ’55 ho cominciato a lavorare, scelsi come medico il dottor Sampietro, che aveva lo studio non lontano dallo stabilimento – ricorda, per esempio, Anna Maria Giovanola, dipendente della fabbrica di cemento –amianto fino alla chiusura nel 1986 – e quando gli dissi che ero entrata all’Eternit lui mi rispose che per un operaio era come per un impiegato riuscire ad entrare in banca. Un posto sicuro dove si prendevano dei bei soldi, così mi disse il medico. Poi anche lui morì di mesotelioma (…)”.


(di Elisabetta Reguitti - articolo21.info)

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